Judith Hollenweger, Rolf Gollob
Come gestire la diversità e il riconoscimento dell’altro
1. Introduzione
Nei principali paesi di immigrazione dell’Europa settentrionale, occidentale e centrale di cui si parla nel presente manuale vige un largo consenso su determinati postulati pedagogici e ideologici. Si intendono quei principi come le pari opportunità, l’uguaglianza tra i generi (parità tra ragazze e ragazzi, cfr. 4 B.2), l’educazione alla democrazia, il riconoscimento e la valorizzazione della pluralità e della diversità, anche in senso culturale e linguistico (cfr. 4 B.3), il trattamento non ideologico di temi e contenuti ecc. Naturalmente molti di questi postulati vengono riconosciuti e rispettati anche in alcuni o addirittura in tutti i paesi di provenienza. Tenendo conto del contesto in cui tale manuale verrà utilizzato – come strumento di orientamento agli insegnanti LCO nei paesi di immigrazione – ci limiteremo alle norme e ai punti fondamentali adottati e accettati in questi paesi.
Le considerazioni che seguono trattano alcuni punti chiave e delle esigenze fondamentali; ulteriori aspetti saranno illustrati nei capitoli 5 e 9.
2. Le aspettative della società riguardo alla scuola
L’educazione permette agli uomini di partecipare in maniera responsabile alla vita sociale, di organizzarla e migliorarla. Quindi gli sforzi compiuti in tema di educazione sono da intendere sempre nel contesto delle condizioni e dello sviluppo sociale, politico ed economico di un paese. Ogni stato ha una propria concezione del tipo e della durata dell’educazione necessaria a ogni individuo.
È grave se le ragazze dopo la scuola obbligatoria non seguono una ulteriore formazione? Quanto si deve impegnare la scuola se i genitori provenienti da determinate culture o strati sociali non lo ritengono importante? Il Dipartimento dell’Educazione deve intraprendere delle misure se i bambini appartenenti alle minoranze non trovano accesso all’istruzione superiore?
Se la partecipazione di determinati gruppi sociali all’organizzazione della società non è desiderata o considerata insignificante allora si investe meno nell’educazione di tali gruppi. Così la struttura della società resta invariata e gli svantaggi e le disuguaglianze esistenti vengono trasmessi alla generazione seguente.
Se però la posizione sociale non è più determinata unicamente dalla struttura sociale, dalla famiglia e dalla cultura di provenienza allora l’avvenire dell’individuo è sostanzialmente aperto (Hradil 2008, pag. 89). Questa è, al momento, una delle preoccupazioni principali delle società democratiche che puntano più sullo sviluppo sostenibile delle risorse umane e meno sullo sfruttamento delle risorse naturali. L’educazione aumenta la mobilità sociale e offre tante opportunità per la promozione sociale. Pertanto nelle società post-industrializzate è importante assicurare a tutti i bambini e ai giovani la migliore educazione possibile. Se si raggiunge un elevato valore aggiunto grazie a personale altamente qualificato allora la società ha tutto l’interesse a permettere ai giovani talenti di avere accesso alla migliore educazione possibile. I cittadini ben istruiti hanno sicuramente voglia di partecipare alla vita politica del paese e quindi il controllo politico, economico e sociale non può più rimanere nelle mani di una piccola élite; tutti i membri di una società devono assumersi la responsabilità per il benessere di tutti (Turowski, 2006, pag. 447).
Nell’Europa settentrionale, occidentale e centrale tutti i paesi di immigrazione sono delle democrazie con una concezione più o meno liberale dello stato che punta sia sulla responsabilità individuale sia sulla volontà dei cittadini di contribuire alla sua organizzazione. A seconda del tipo di democrazia (diretta, rappresentativa ecc.) i problemi vengono risolti sul piano locale o centrale e anche le soluzioni vengono elaborate a livello locale o nazionale. In Svizzera (esempio di democrazia diretta) i cantoni più forti mostrano la loro solidarietà con quelli più deboli attraverso dei trasferimenti finanziari mentre i sistemi di assicurazione sociale garantiscono l’esistenza ai più deboli. In questo modo si crea un equilibrio e si rende possibile la convivenza tra diversi gruppi, lingue e regioni culturali. Inoltre molte persone, nella maggioranza dei paesi, si impegnano per la società civile, indipendentemente dallo stato. Infatti esistono molte associazioni che sono attive in campo sociale e si impegnano per il prossimo. Esse forniscono assistenza e aiuto nei campi che non sono di competenza dello stato o si impegnano a risolvere quei problemi che lo stato non riesce a gestire in modo efficace (Emmerich, 2012).
Nella prima metà del XIX secolo in molti paesi è stata creata la scuola pubblica obbligatoria, come anche nel cantone di Zurigo (legge sulla scuola del 1832). Con questa legge il cantone si è assunto la responsabilità per l’educazione di tutti i bambini che provengono da ogni strato sociale. Quanto comuni e cantoni fossero allora fieri di questo compito lo si può notare ancora oggi dagli edifici scolastici rappresentativi dell’epoca. Allora si trattava di contrastare il lavoro infantile e di trasmettere le conoscenze di base; oggi il compito sociale e la missione educativa della scuola sono diventati molto più complessi. In passato i compiti della scuola e della famiglia erano chiaramente distinti (formazione, educazione), oggi essi sono strettamente collegati e devono sostenersi a vicenda. Un compito è rimasto intatto: assicurare la coesione della società e la qualificazione di bambini e giovani (Tröhler & Hardegger, 2008).
È alla luce di questo contesto storico e sociale che bisogna comprendere gli sforzi educativi attuali nei paesi di immigrazione menzionati sopra.
La scuola deve, all’insegna dell’uguaglianza sociale e delle pari opportunità, non solo assicurare a tutti gli allievi, indipendentemente dalla loro origine, la migliore educazione possibile, ma anche tramettere loro i valori sociali e societari. La pluralità della voce della popolazione attuale si riflette anche nella vita quotidiana della scuola; tutti gli attori della società sono sollecitati a prestare un contributo costruttivo.
In questo contesto i principi fondamentali sono la preservazione e il riconoscimento dei valori più importanti. Essi richiedono un approccio attivo e rispettoso della diversità culturale e linguistica. Si tratta di dare il proprio contributo e di essere solidali, di agire nell’interesse dell’individuo e della società, di incoraggiare ma anche di esigere. Come giustamente afferma Prisching «L’educazione è un’impresa multidimensionale e tutte le dimensioni devono controllarsi reciprocamente» (2008, pag. 226). Questo obiettivo deve essere raggiunto da un lato sviluppando la scuola e dall’altro garantendo i diritti individuali di tutti i discenti.
3. Vivere la democrazia – cosa significa questo per la scuola?
Chi parla di democrazia in relazione alla scuola pensa subito ai contenuti di insegnamento. Che cosa devono studiare gli alunni riguardo alla democrazia e alla sua struttura? Quali sono i contenuti e quali le materie in cui trattare questo tema? La conoscenza dichiarativa sta quindi in primo piano, si tratta di conoscere i fatti sulla democrazia, di “sapere che…”. In un secondo tempo si parlerà della partecipazione degli alunni all’organizzazione della scuola: il quadro giuridico dei rappresentanti degli alunni, la partecipazione formale dei professori o la rappresentanza dei genitori in diversi comitati. In questo caso si tratta di “sapere come…”, ossia la conoscenza e l’esperienza delle procedure e dell’organizzazione dei processi di azione democratici. Ma la democrazia costituisce anche un valore di per sé, valutato in modo positivo in tutti i paesi di immigrazione dell’Europa occidentale e settentrionale.
Una scuola democratica auspica che i suoi alunni instaurino una relazione positiva con la democrazia. Essi devono poter sviluppare delle convinzioni democratiche e la scuola ha il dovere di fornire il suo contributo all’educazione degli allievi come individui democratici.
Si tratta quindi di sviluppare l’attitudine, la disposizione e la capacità di utilizzare in modo responsabile i principi democratici fondamentali nell’organizzazione della vita sociale.
Se riflettiamo sul concetto di democrazia nell’ambito della scuola (quindi anche nei corsi LCO) dobbiamo considerare sempre entrambi gli aspetti: da un lato i contenuti della lezione e dall’altro le strutture e i processi esistenti in seno alla scuola. E comunque si tratta anche e sempre dei valori e delle attese che sono espressi e vissuti in maniera unica in ogni scuola e in ogni corso LCO (Retzl 2014).
La democrazia quindi da un lato è una situazione, un fatto reale da descrivere. Dall’altro costituisce un valore che, per convinzione, vogliamo rappresentare e mettere in pratica durante la lezione a scuola. Il contenuto può essere trasmesso, gli si possono attribuire delle ore e i risultati dell’apprendimento possono essere verificati. Ciò non vale però per i valori. Mettere sullo stesso piano valori e situazioni è sbagliato perché nel momento in cui si vuole insegnare un valore si fa indottrinazione. I valori devono essere sperimentati, la democrazia, in quanto valore, pure. Un insegnamento e una scuola che non mettono in pratica questo valore nell’organizzazione della lezione e della scuola stessa dovrebbero cessare di insegnare la democrazia come fatto reale (Krainz 2014).
Sarebbe un grande errore esigere dalla scuola che essa simuli la democrazia; questo essa non può e non deve farlo. La scuola ha una chiara struttura e dei ruoli nettamente definiti. Essa è uno strumento della democrazia ed è nel contempo lo spazio di vita in cui si sviluppano i futuri democrati, spazio in cui la responsabilità e la partecipazione vengono vissuti e messi in pratica in una maniera conforme all’età, allo sviluppo cognitivo degli allievi e alla situazione concreta. In altre parole: gli allievi dovrebbero acquisire un habitus democratico nel corso della loro scolarizzazione (anche nel corso LCO) che si prolungherà al di là della scuola. Per l’applicazione concreta bisogna scegliere delle aree di azione nelle quali le competenze di azione democratica degli individui e la qualità democratica della scuola possono essere sviluppate e sperimentate.
In un contesto prettamente scolastico la lezione ha naturalmente una grande importanza. Essa viene percepita dagli allievi come un luogo in cui sperimentare processi di negoziazione e feedback, un ambiente di cooperazione dove alunni e insegnanti interagiscono in uno spirito di rispetto reciproco. I diritti dell’infanzia e della persona sono gli elementi fondamentali di una pratica scolastica che si basa sull’educazione democratica (cfr. i link nella bibliografia).
I progetti scolastici si adattano in modo ottimale per permettere di esercitare una pianificazione comune, una partecipazione con pari diritti, un’organizzazione ben coordinata e una valutazione trasparente. Molto preziosi dal punto di vista della pedagogia della democrazia sono i progetti che si caratterizzano per un approccio all’apprendimento attraverso l’impegno, il cosiddetto service learning (es.: progetto comune di esposizione e vendita di prodotti di artigianato i cui profitti vanno a un’associazione di solidarietà). Non importa quale contenuto e quali obiettivi siano stati scelti, al centro ci deve essere sempre il processo dell’organizzazione, poiché questo deve essere già di per sé democratico. Progetti simili permettono agli alunni di sperimentare la democrazia e le proprie prestazioni personali e devono essere quindi documentati e certificati, nei limiti del possibile, sotto forma di portfolio.
Un’intera unità scolastica può essere organizzata in modo democratico senza effettuare grossi cambiamenti alla base. Il potere è legittimato, le soluzioni vengono cercate insieme attraverso la comunicazione, la delegazione e la rappresentazione. La scuola si apre anche alla società e mostra ai ragazzi come si può realizzare un’azione significativa nell’ambiente attuale grazie a un insegnamento accompagnato da un progetto. Questi progetti “sociali” si caratterizzano per il fatto che l’azione stessa diventa il soggetto dell’insegnamento. Per informarsi su come vengono messi in atto i principi democratici nel paese, nel sistema educativo e nelle singole scuole dove lavorano gli insegnanti LCO e quale materiale didattico viene utilizzato bisogna necessariamente consultare i propri colleghi locali.
Per quanto riguarda il materiale corrispondente più adatto a essere utilizzato durante l’insegnamento LCO o per dei progetti trasversali rimandiamo alla serie EDC/HRE Living Democracy del Consiglio d’Europa che, a seconda dei volumi, è già stata pubblicata in 10 lingue differenti e può essere ottenuta sotto forma cartacea o scaricata gratuitamente da Internet (http://www.coe.int/t/dg4/education/edc/Resources/Resources_for_teachers_en.asp).
4. Vivere insieme la pluralità – diversità e inclusione
Come illustrato nel capitolo 4 A.3 l’educazione deve consentire ai giovani individui di sviluppare la loro personalità e nel contempo coinvolgerli attivamente nella gestione e nell’organizzazione della società. Una società democratica vive della sua polifonia, del confronto con le opinioni altrui e dell’inclusione di tutti nella ricerca delle migliori soluzioni possibili. Ma vive anche dell’impegno di ognuno verso un concetto di Stato collettivo, verso valori comuni e il rispetto degli interessi delle minoranze. È chiaro che ne possono risultare delle tensioni tra diversità e uguaglianza in tutti i campi della vita, tali tensioni però vanno risolte in maniera costruttiva. La scuola pubblica, quale istituzione statale, non può sfuggire a questa dinamica ed è chiamata a sviluppare un approccio sensato per affrontare la questione. Essa ha il compito di dare il suo contributo alla coesione della società e nel contempo di garantire a ogni bambino il diritto all’educazione. Pertanto “diversità” e “inclusione” sono concetti chiave per il trattamento delle “differenze” nella scuola (Ainscow et al., 2006).
L’uso del termine “disuguaglianza” vuole enfatizzare e dare un giudizio di valore alle differenze; i termini “differenza” e “diversità” invece riconoscono le differenze senza includere un giudizio di valore. La categoria di “diversità”, generalmente accettata nelle discussioni attuali, presuppone un confronto deliberato con la differenza e la pluralità. Le caratteristiche come sesso, età, nazionalità, origine etnica, lingua, situazione sociale, orientamento sessuale, stato di salute o handicap servono a descrivere la diversità. Ciò però non significa che le minoranze devono solamente essere tollerate e incoraggiate ad adattarsi e assimilarsi; al contrario è necessario che esse partecipino e collaborino, laddove si verifichino dei problemi, alla risoluzione degli stessi. Il concetto di “inclusione” fa riferimento a questo processo e mira, in primo luogo nella scuola, a risolvere i problemi e le difficoltà di apprendimento e di partecipazione per raggiungere l’obiettivo. Mentre per la categoria “integrazione” ci si aspetta soprattutto la capacità di adattamento da parte delle minoranze il concetto, oggi più moderno e attuale, di “inclusione” esige un contributo più attivo da parte di tutti per giungere a una soluzione comune (Vojtová et al., 2006). Una scuola inclusiva affronta quindi attivamente la questione della diversità e assicura a tutti l’accesso all’educazione. Nel contempo ha delle esigenze elevate verso se stessa in materia di qualità e delle attese elevate verso i suoi allievi (Nasir et al., 2006).
Perché gli alunni con un background migratorio sono spesso soggetti, con una frequenza superiore alla media, a delle misure pedagogiche speciali? Come può succedere che i giovani adolescenti svantaggiati dal punto di vista sociale alla fine della scuola dell’obbligo hanno acquisito pochissimo dell’educazione che è stata loro data? Perché in molti luoghi c’è ancora tanta strada da fare per giungere a pari opportunità o almeno a “simili opportunità” (cfr. anche il cap. 4 B.1)? Perché le ambizioni dei genitori in fatto di educazione hanno ancora un’influenza così determinante sui figli? Queste sono le domande fondamentali da porsi per far sì che la scuola e l’insegnamento evolvano verso una scuola inclusiva. La nuova legge sulla scuola pubblica nel cantone di Zurigo – per citare un esempio – ha permesso di adottare in maniera più massiccia, delle misure pedagogiche speciali a favore dell’integrazione proprio per contrastare le conseguenze negative della promozione segregativa. Alcune scuole puntano su gruppi di apprendimento misti in termini di età e di livello per giungere a una maggiore “personalizzazione” dell’insegnamento. Attraverso la creazione di comitati di genitori e intensificando la collaborazione dei genitori le scuole tentano di costruire per tutti gli alunni una rete duratura di responsabilità comune. Il progetto Bildungslandschaften (“Paesaggi educativi”, v. lista dei link nei riferimenti bibliografici) della Fondazione Jakob e del Dipartimento dell’Educazione del cantone di Zurigo ha fatto un passo ancora più avanti e coinvolge anche entità extrascolastiche. In concreto, si tratta di ridurre le barriere e gli ostacoli esistenti come quelli che i bambini portatori di handicap incontrano ancora oggi.
Una scuola inclusiva non solo si sviluppa costantemente ma si impegna quotidianamente per il rispetto dei diritti individuali di tutti i bambini e i giovani. Essa si basa non solo sui diritti dell’infanzia delle Nazioni Unite ma anche su quelli delle persone portatrici di handicap riconosciuti dalla relativa Convenzione. La maggior parte dei paesi di immigrazione dell’Europa occidentale e centrale ha sottoscritto e ratificato entrambe le convenzioni. Queste convenzioni non solo garantiscono un’educazione gratuita per tutti i bambini e i giovani ma incentivano anche la scuola a compensare e a riequilibrare gli svantaggi derivanti dall’origine, da un handicap o da problemi di salute. In linea di principio l’offerta educativa deve essere adattata alle esigenze e alla preconoscenze del bambino poiché “uguaglianza dei diritti” non significa offrire la stessa cosa a tutti. Gli insegnanti di oggi devono essere in grado di abbandonare questa “premessa di omogeneità” in favore di un apprendimento più personalizzato. Nel contempo devono riconsiderare e rivalutare la propria concezione di giustizia (Bloch, 2014).
Gli insegnanti LCO possono apportare un prezioso contributo agli obiettivi di parità di opportunità e inclusione riguardanti i loro allievi. Ciò può avvenire durante la lezione con un incoraggiamento mirato e un orientamento verso il discente (cfr. anche cap. 5 A.2), ma anche fuori della classe cercando il colloquio con i genitori e con gli insegnanti della lezione regolare (v. cap. 12).
5. L’insegnamento e l’apprendimento come un processo comune di risoluzione dei problemi
Se gli alunni non svolgono più esattamente gli stessi compiti nello stesso tempo l’insegnante non può più basarsi esclusivamente sullo stesso manuale e sullo stesso programma per tutti. La personalizzazione e la democratizzazione dell’educazione, di cui si è parlato in precedenza, non si riflettono solo nella gestione della lezione da parte dell’insegnante ma anche nei manuali scolastici e nei programmi dei paesi di immigrazione dell’Europa settentrionale, occidentale e centrale. Per quanto concerne l’organizzazione della lezione si pone particolare attenzione al fatto che gli alunni debbano ricevere, accanto a delle sequenze didattiche guidate, anche delle possibilità di apprendimento autonomo (Kiper & Mischke, 2008). I manuali propongono compiti sempre più complessi che richiedono l’applicazione di svariate attività e che possono essere risolti attraverso forme sociali e strumenti differenti. I programmi didattici attuali – come il “Piano di studio 21” per i cantoni germanofoni della Svizzera – sono orientati alle competenze da acquisire e da mettere in atto in svariate situazioni. Invece di dare chiare disposizioni sull’input, ossia su ciò che viene offerto agli alunni, l’attenzione è concentrata sull’output e cioè sui risultati dell’educazione (cfr. anche cap. 5 A.1).
Secondo la definizione attuale, ormai largamente accettata, l’apprendimento viene inteso come un processo attivo e interattivo. Le prime condizioni favorevoli all’apprendimento sono create con l’acquisizione di informazioni, ma in un secondo tempo è necessario che il discente, dal canto suo, faccia un notevole sforzo di comprensione.
Bisogna stabilire delle connessioni con le conoscenze già presenti per poter risolvere le questioni complesse e una volta terminato il compito esso deve essere controllato e valutato. L’insegnamento e l’apprendimento devono essere collegati in modo tale da condurre, di concerto, alla risoluzione dei problemi. L’insegnante, proponendo questioni e temi adeguati all’età e all’interesse, aiuta a sviluppare la comprensione dei problemi e promuove la motivazione del discente ad affrontarli e a risolverli. Le informazioni, le conoscenze e le competenze necessarie per la soluzione del problema vengono acquisite ed elaborate insieme, l’insegnante offre il suo supporto per quanto sia necessario e fornisce delle strutture di sostegno. Una volta consolidata la base si passa alla fase concreta di pianificazione. Trovata la strada giusta che conduce all’obiettivo il discente mette in atto le azioni richieste e poi verifica i risultati. I processi di insegnamento-apprendimento sono strettamente collegati e la loro interazione offre ai discenti gli strumenti di aiuto per la strutturazione appropriati alle esigenze, un sostegno all’apprendimento autonomo e infine genera il sentimento di appartenenza (Rohlfs, 2011). Ovviamente tutto questo vale anche per l’insegnamento LCO e può essere applicato sia durante le lezioni LCO sia in quelle della scuola regolare.
Le difficoltà di apprendimento e di interazione possono comparire in ogni momento e devono essere risolte il più rapidamente possibile onde evitare che gli allievi si scoraggino e che vengano interiorizzati dei modelli di interazione errati. Durante l’insegnamento LCO si presentano più frequentemente problemi legati alla varietà standard e alla comprensione scritta nella prima lingua poiché molti allievi conoscono quest’ultima solo nella varietà dialettale e non leggono e scrivono quasi mai nella prima lingua (cfr. in proposito anche il cap. 8). In questo caso è fondamentale la capacità dell’insegnante di individuare rapidamente le difficoltà e di porvi il giusto rimedio. In primo luogo bisogna individuare le situazioni di apprendimento specifiche che causano delle difficoltà al discente. Spesso le cause risiedono nel fatto che l’alunno non ha ancora acquisito determinate competenze (a casa o nella scuola regolare) o è abituato ad altri tipi di interazione oppure utilizza altre strategie di apprendimento. Se però nonostante l’insegnamento personalizzato i bambini mostrano ancora difficoltà a scuola allora si ricorre ai cosiddetti “Resoconti sulla situazione scolastica” (cfr. lista dei link nei riferimenti bibliografici, il termine varia a seconda della regione linguistica). Lo scopo è quello di riunire tutti i punti di vista di coloro che ne sono implicati, fare un’analisi della situazione scolastica del discente e proporsi degli obiettivi comuni che costituiranno la base per una pianificazione delle misure da intraprendere. Sulla base dei risultati ottenuti dal resoconto si mette in azione un programma educativo personalizzato. Dopo un determinato periodo, stabilito di comune accordo, ha luogo un secondo resoconto per valutare gli obiettivi raggiunti. Si ricorre a questi resoconti scolastici in molti luoghi anche quando gli alunni hanno bisogno dell’insegnamento della lingua nazionale come seconda lingua. È chiaro che durante questi incontri l’insegnante LCO si rivela essere un prezioso partner.
Con questa forte personalizzazione dell’educazione, come descritto sopra, viene riconosciuto e valorizzato l’intero potenziale dell’allievo da parte dell’insegnante e della scuola. In altre parole non vengono più prese in considerazione soltanto le singole qualità e capacità dell’alunno che sono utili per la scuola ma l’individuo in toto.
Per diventare una persona responsabile in una società aperta l’allievo deve essere considerato nella totalità di tutte le sue capacità. Ciò include anche una migliore utilizzazione delle risorse di cui egli dispone, compresa la sua lingua materna, il suo contesto culturale specifico e le sue esperienze di vita.
A differenza del concetto di “individualizzazione”, spesso mal compreso, la “personalizzazione” non mira a un’educazione “a parte” ma a considerare il bambino come una persona nella totalità dei suoi diritti, doveri e responsabilità (OECD, 2006). Ne deriva che tutti i bambini e gli adolescenti devono essere considerati uguali (Emmerich & Hormel, 2013). Al centro non deve esserci più la loro utilità in quanto buoni allievi, ma la loro acquisizione di competenze e il loro sviluppo. I concetti di “diversità” e “inclusione” descrivono in modo esaustivo questo processo di cambiamento in atto. Senza prima riconoscere la differenza l’inclusione diventa coercitiva e senza l’inclusione la diversità è sinonimo di arbitrarietà e indifferenza. È imperativo che la scuola democratica tenga presente questi due concetti per avviarsi verso un futuro che deve essere tracciato in maniera congiunta da tutte le persone coinvolte e interessate.
Riferimenti bibliografici
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Links
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